LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di responsabilita' promosso dal procuratore generale nei confronti di De Boni Gemma, Rizzotti Francesca, Rizzotti Alberta, Rizzotti Maria, nella loro qualita' di eredi di Rizzotti Gino, rappresentati e difesi dagli avv.ti Giuseppe Neri e Pier Vittorio Magnani; Trentin Augustina (erede di Cavalli Domenico); Caroli Emilia, Chierici Patrizia, Chierici Simonetta (eredi di Chierici Umberto), rappresentati e difesi dagli avv.ti Domenico Matta e Ferdinando Burlando; di Cuccodoro Elena, Carducci Luisa e Carducci Mario, eredi di Carducci Carlo, questi due ultimi rappresentati e difesi dagli avv.ti Pier Luigi Amerio e Guido Romanelli; Savioz Fabiano, rappresentato e difeso dall'avv. Guido Romanelli; Molaioli Carlo, Maria Grazia e Rosemarie, eredi di Molaioli Bruno; Ciaicovski Elisabetta (erede di Ortensi Gilberto), rappresentata e difesa dall'avv. Franco Garcea; Rinaldi Maria Pia e Rosanna, eredi di Rinaldi Giuseppe, rappresentati e difesi dall'avv. Cesare Crosta; Fraschetti Fernanda, Alessandra, Paolo, Fabio Massimo, Renzo, Ezio, Maria Rita e Andrea, eredi di Fraschetti Aldo, tutti rappresentati, salvo quest'ultimo, dall'avv. Maria Teresa Barbantini, nonche' di Sostero Annita (erede di Coletti Dante); Visto l'atto introduttivo del giudizio iscritto al n. 11674 del registro di segreteria, nonche' gli altri atti e documenti della causa; Udita, nella pubblica udienza del 29 gennaio 1991, la relazione del consigliere dott. Vito Minerva, nonche' gli avv.ti Maria Teresa Barbantini, Giuseppe Neri, Ferdinando Burlando, Guido Romanelli, Franco Garcea, Cesare Crosta, ed il p.m. nella persona del v.p.g. dott. Sergio Laserra. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO Con atti di citazione in data 10 febbraio, 12 aprile e 23 maggio 1977, il procuratore generale conveniva in giudizio diversi funzionari della Azienda nazionale autonoma delle strade, e loro eredi, per sentirli condannare al pagamento della somma di L. 23.398.390, oltre gli interessi legali e le spese di giudizio, per il danno subito dalla azienda stessa in conseguenza di un incidente stradale accaduto il 13 giugno 1965, a seguito della condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti lese pronunciata dal tribunale di Torino con sentenza del 16 novembre 1972, confermata dalla Corte di appello il 16 marzo 1974. Con decisione n. 13 del 14 dicembre 1977 - 10 febbraio 1978, questa sezione assolveva dalla domanda da attrice Barile Rosaria, D'Antonio Gerardo, Gabasio Cesare, Cantino Giovanni, Cereia Angelo, Di Filippo Alessandro e Cordaro Gaetano. Con separata ordinanza, emessa sotto la stessa data, questa sezione disponeva la integrazione del contraddittorio con la chiamata in causa del soprintendente alle antichita' e belle arti della Valle d'Aosta, Carducci Carlo, del soprintendente ai monumenti per il Piemonte, Chierici Umberto, dell'assessore al turismo, antichita' e belle arti della regione autonoma della Valle d'Aosta, Savioz Fabiano, nonche' dei direttori generali pro-tempore dell'ANAS e delle antichita' e belle arti. Con atto di riassunzione e citazione del 18 aprile 1990, il procuratore generale provvede a dare corso alla richiesta integrazione del giudizio. Tutto cio' premesso, la difesa degli eredi Carducci, convenuti in giudizio con atto notificato il 28 giugno 1990, ossia successivamente alla data di entrata in vigore della legge 8 giugno 1990, n. 142, ha chiesto l'applicazione del quarto comma dell'art. 58 della legge stessa nei confronti degli impiegati civili dello Stato, e di conseguenza una declaratoria di estinzione del giudizio, in quanto proposto contro eredi di dipendenti statali, nel presupposto che non sarebbe consentita una interpretazione che discriminasse tra eredi di dipendenti e amministratori di enti locali ed eredi di dipendenti dello Stato, determinando "disparita' di trattamento costituzionalmente illegittime"; in via subordinata, la difesa ha sollevato eccezione di costituzionalita' della norma per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto non prevede l'esonero da responsabilita' anche per gli eredi degli impiegati civili dello Stato, e, previa verifica di non manifesta infondatezza della questione, ha chiesto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Da parte sua il pubblico ministero, nel corso della discussione della causa, sostanzialmente aderendo alle tesi della difesa degli eredi convenuti, ha chiesto l'applicazione della norma, in via di interpretazione, anche nei confronti degli eredi dei dipendenti statali, in conformita' all'orientamento peraltro gia' assunto da questa sezione con decisione n. 28 in data 18 gennaio 1991. Ha affermato, al riguardo, il pubblico ministero che tale decisione n. 28/1991, che si e' pronunciata per l'applicabilita' del principio di intraemissibilita' agli eredi di tutti i soggetti sottoposti a responsabilita' amministrativa (e che peraltro non ha esteso il principio stesso alla responsabilita' contabile, per la quale deve valere il divieto di incremento del patrimonio dell'erede per fatto delittuoso del dante causa o per fatto conseguente alla violazione degli obblighi di deposito e custodia), risponde a criteri di equita', di economicita', ed e' conforme alle volonta' del legislatore, quale e' resa evidente dal primo comma dell'art. 58 nonche' dei lavori preparatori e dalla relazione che accompagnava il disegno di legge presentato dal Governo. Secondo la pubblica accusa ben ha fatto questa sezione quando con la citata decisione, seguendo i parametri forniti dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, non ha applicato il criterio letterale interpretativo, ma ha dato prevalenza all'intendimentodel legislatore che ha voluto dar vita, come si rileva dal primo comma, dell'art. 58, ad una disciplina unitaria della responsabilita', rispetto alla quale volonta' apparirebbe del tutto irrazionale la introduzione di un elemento differenziatore di tanta rilevanza proprio in sede di qualificazione della responsabilita' (dichiarata dal legislatore di natura "personale", donde la intrasmissibilita'). Tutto cio' premesso, secondo questo collegio, la formulazione della norma ed il quadro normativo in cui e' stata collocata fanno ritenere che il legislatore in realta' non abbia voluto innovare sul punto della qualificazione della natura della responsabilita', come istituto generale, ma abbia semplicemente sancito la regola della non trasmissibilita' della responsabilita' in relazione alle sole categorie degli amministratori e dipendenti degli enti locali. Vero e' che, come si legge nella relazione che accompagna il disegno governativo originario (n. 2924, atti della Camera) in cui erano inseriti solo i primi tre comma dell'art. 58 (il 4 e' stato aggiunto come emendamento in sede di approvazione da parte del Senato), nel disporre che anche per gli amministratori e dipendenti degli enti locali debbano osservarsi le disposizioni vigenti in materia di responsabilita' per gli impiegati dello Stato, si e' inteso "eliminare una diversita' di trattamento fra funzionario dello Stato ed amministratore locale .. non piu' giustificata", ma tale intento non esclude, secondo il collegio, che si sia voluto introdurre una speciale deroga sul punto della non estensibilita' ai soli eredi degli amministratori e dei dipendenti degli enti locali. La norma de qua - che ad avviso del collegio si applica anche ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge stessa perche' finisce vuoi per incidere nella giurisdizione di questa Corte (sottraendo una astratta categoria di soggetti, gli eredi, appunto) vuoi sulla legittimazione attiva del procuratore generale nell'ambito di rapporti ancora pendenti - sembra avere per destinatari solo una parte dei soggetti convenibili per responsabilita' amministrativa; essa determina, quindi, una evidente e ingiustificata disparita' di trattamento, con violazione del principio di eguaglianza stabilito all'art. 3 della Costituzione. Non si vede, infatti, la ratio di una tale limitazione considerando che non e' ipotizzabile una particolare peculiarita' nelle incombenze ad es. esercitate da un ministro o da un direttore generale, da una amministratore regionale o di una Universita' o di un ente pubblico rispetto a quelle svolte da una amministratore di un ente locale, ne' tanto meno tra attivita' poste in essere da dipendenti appartenenti alle diverse amministrazioni statali o di enti pubblici. Ove la interpretazione della norma fosse quella ritenuta da questo Collegio sulla base del chiaro senso letterale delle parole contenute nell'art. 58, quarto comma, e del complessivo provvedimento riferito all'ordinamento dell'autonomie locali, sussisterebbe, anche, un evidente contrasto tra il primo ed il quarto comma, dello stesso articolo, poiche' mentre con il primo il legislatore evidenzia la volonta' di perseguire intenti perequativi o di omogenizzazione della disciplina, che dichiaratamente vuole unitaria, con il quarto viene a contraddire su un punto particolarmente qualificante (che attiene addirittura alla natura stessa della responsabilita'), la volonta' precedentemente espressa, e desumibile anche dai citati lavori parlamentari. Pertanto, si evidenzia un ulteriore profilo di contrasto della norma con l'art. 3 della Costituzione, sotto l'aspetto della violazione del principio di razionalita'. La norma stessa - a meno che il legislatore non abbia voluto collocare la responsabilita' amministrativa in un regime diverso da quello civilistico, qualificandola come di natura sanzionatoria (ma ove cio' fosse a maggior ragione si porrebbe la necessita' di una reductio ad unitatem della disciplina e delle diverse conseguenze) - viene ad introdurre una deroga ai principi generali in materia di successione mortis causa (artt. 752, 754, 1295) che non appare fondata su alcuna esigenza di tutela di particolari peculiarita'. Altro profilo di illegittimita' per contrasto con l'art. 24 della Costituzione, il collegio rinviene nella parte della norma in cui abbia inteso, adoperando la locuzione "nei confronti degli amministratori e dipendenti dei comuni e delle province", escludere dal principio in questione gli eredi dei dipendenti statali. In tal modo, specie in materia di danno indiretto, come nel caso de quo, poiche' il termine di prescrizione decennale decorre dal momento in cui e' sorto l'obbligo a pagare (nella specie con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna al risarcimento dei danni, e cioe' dal 16 marzo 1974) per le note disfunzioni dell'apparato amministrativo e giudiziario, gli eredi dei dipendenti statali (in quanto esclusi dall'ambito di applicabilita' della norma) verrebbero a trovarsi in una estrema difficolta', se non nella impossibilita' di difendersi dalla pretesa risarcitoria, specie se azionata o definita o accertata a distanza di cosi' grande distanza dall'accadimento dei fatti, per la impossibilita' o estrema difficolta', non appartenendo alla p.a., di ricostruire i fatti stessi oppure di reperire i documenti o gli elementi idonei a comprovare la mancanza di colpa del proprio dante causa. Va infine, considerto che la denunciata situazione di disparita' e di precarieta' e' resa ancor piu' evidente dalla introduzione di un termine abbreviato di prescrizione (5 anni) per i soli amministratori e dipendenti degli enti locali, che finisce ancor piu' per aggravare la esposizione degli eredi degli statali e degli altri dipendenti pubblici e regionali alla azione del p.g. Ritenuta la rilevanza della proposta questione nel presente giudizio e la non manifesta infondatezza della stessa;